DEDICATA A VOI CHE VISITATE IL NOSTRO BLOG. DA ANNA LISA E ARMANDO

LA CUCINA SICILIANA


 
La Sicilia, la piu' estesa isola del Mediterraneo, costituisce con gruppi insulari minori (Eolie o Lipari, Ustica, Egadi, Pelagie, Pantelleria) una regione autonoma a statuto speciale della Repubblica Italiana.

La fortuna della cucina siciliana deve molto all'impiego degli aromi locali. I più diffusi sono il basilico e l'origano, seguiti da alloro, rosmarino, salvia, timo, zafferano e ruchetta. Inutile dire dell'aglio e della cipolla, padroni assoluti della cucina siciliana, e dell'immancabile prezzemolo, presente in tutti i piatti.
L'uso dell'olio d'oliva è generalizzato, preferito ad ogni altro grasso, mentre la sugna è destinata alla preparazione di speciali impasti per focacce o dolciumi. Si preferisce l'uso del sale marino al salgemma; e se proviene dalle saline di Trapani o di Vindicari, ancora meglio. Gli antipasti non fanno parte della tradizione, e quelli esposti nei ristoranti altro non sono che il companatico o il secondo piatto - se non l'unico - della cucina povera: frittatine, pomodori secchi, olive condite, melanzane, verdure domestiche e selvatiche.
Senza pane in Sicilia non si va a tavola, sarebbe inconcepibile. Ogni paese, ogni città vanta decine di qualità di pane, diverse per l'impasto, la forma, il tempo di lievitazione o di cottura: ed infiniti sono i nomi che si danno ai pani per distinguerli gli uni dagli altri. Altrettanto numerosi sono i pani "votivi" o festivi, preparati appositamente per certe feste patronali, con preciso intento di simbologia protettiva. Il siciliano nutre per il pane un profondo rispetto: se ne cade un pezzettino a terra, lo raccoglie e reverentemente lo bacia.
Gli spaghetti furono creati per la prima volta in Sicilia; persino il termine "macarones", che originerà quella di "maccheroni" è stato coniato nell'isola.
Unica regione italiana lambita da tre mari, la Sicilia è ricchissima di pesce, amato da tutti gli isolani: ne vengono consumate non solo le specie più pregiate, ma tutte e ed in ogni stagione, con una spiccata preferenza per sarde e tonni, polipi e triglie.
Carne preferita in assoluto è invece quella suina; seguono i bovini (ma poiché la carne locale è sempre stata dura si è inventato il tritacarne per farne polpette e polpettoni), gli ovini, il pollame e la cacciagione. Quasi del tutto ignorata la carne equina. Tra le preparazioni risultano più numerose quelle che utilizzano le parti meno costose, come le interiora: sono nate così alcune specialità estremamente gustose, come il fegato nella rete, il cuore ripieno, la gelatina di maiale, la gamma di piatti a base di trippa, e le animelle. Le verdure e i legumi hanno in percentuale surclassato tutti gli altri alimenti nella dieta isolana, vuoi per gusto ma più spesso per necessità: due soli ma straordinari esempi di piatti, la caponata e il maccu di favi.
La produzione di caci e ricotte in tutta l'isola è antichissima: sono stati il classico companatico per colazioni, pranzi e cene di intere generazioni. In Sicilia si produce anche splendida frutta, da quella più comune - ossia reperibile ovunque nell'isola - a quella più rara come le nespole d'inverno (simili a castagne), i lazzeruoli (una varietà di biancospini), i melograni, i corbezzoli, i bagolari o spaccasassi e persino banane. L'uva zibibboprese questo nome da Capo Zebib nell'Africa settentrionale; il limone lunario è invece chiamato così perché ad ogni luna si formano le zagare, e dunque l'albero ha tutto l'anno fiori e frutti; il fico, infine, è forse il frutto più amato di tutti.
Il dolce nasce all'origine come "pane speciale", diverso da quello giornaliero. Molti dei dolci siciliani hanno forme geometriche che vengono tradizionalmente rispettate: la cubbaita, ad esempio, ed i mustazzola di vinu cuotto vanno tagliati in forma di rombo; i ravioli dolci e le 'mpanatigghi a mezzaluna; i bucciddati a forma di corona circolare; cannola e gravizzate cilindrici; cassata e altri dolciumi a forma di disco; quadrate le caramelli di carrua. Vi sono poi torte e cassate a forma di cuore; biscotteria che riproduce piante e fiori, come i rami di meli, le olivette di Sant'Agata e la pignulata, oppure imitanti parti umane come le ossa di mortu e i cannaruzzeddi di Sammilasi o riproducenti figure di Santi, come i pupiddi nanau (Santi Cosma e Damiano).
In Sicilia non usa bere vino fuori tavola: taverne ed osterie si sono sempre contate sulle dita di una mano nelle grandi città e sono quasi inesistenti nelle piccole comunità. Pochissime le bevande analcoliche, peraltro riservate ai ceti abbienti: la ormai scomparsa cabbasisata (ottenuta schiacciando i "cabbasissi" ed immergendoli in acqua), la minnulata o latti di mennula (acqua impregnata dell'umore delle mandorle spremute), lagranatina (ottenuta spremendo i chicchi della melagrana), la siminzata, ricavata dai semi del popone, ed infine il semplicissimo latte zuccherato ma freddissimo chiamato carapigna e sciala-cori. Diffusissima invece la consuetudine del caffè, forte, scuro ed aromatico. Tra i liquori del passato c'è da ricordare l'uso dei rosoli casalinghi, ottenuti dalle essenze di agrumi, dalla cedronella o altri aromi vegetali. Particolare lo zammù o zambù, originariamente ottenuto dalla distillazione di fiori e semi di sambuco, poi sopravvissuto con lo stesso nome ma adoperando i semi d'anice.
Esistono in Sicilia delle tecniche di cottura molto originali. Una è la cottura nella cenere: in genere uova che si mettono tra la cenere calda, o rocchi di salsiccia avvolti nella carta paglia da macellaio preventivamente bagnata con vino. C'è poi la cottura nel sale, oggi di moda ma da sempre praticata in Sicilia dal momento che l'isola è stata grande produttrice di sale fin dall'antichità: fino agli anni cinquanta era sconosciuta al di là dello Stretto. Altra specialità è la cottura delle anguille con la sabbia: le anguille vengono ricoperte con sabbia di fiume o di mare e poi arrostite sulla brace. Il grasso che cola, insieme alla sabbia via via aggiunta, creano una crosta esterna che a fine cottura viene rimossa e che lascia la carne bianca e ben cotta. Altra tecnica infine, oggi del tutto scomparsa, era quella della balata di zolfo. Gli zolfatai del Nisseno facevano liquefare il minerale per separarlo dalle scorie; ancora liquido e caldissimo lo zolfo veniva colato in apposite vasche, dette balate, dalle quali poi venivano ricavati i pani di zolfo. Un pollo veniva messo dentro la balata, cuoceva all'intenso calore e veniva estratto cotto a puntino, spaccando il pane di zolfo ormai indurito.

Diceva il famoso antropologo francese Claude Levi Strauss, che si perdono più facilmente i codici linguistici che quelli alimentari e portava il caso degli italiani emigrati in America, infatti spesso la loro lingua originaria viene dimenticata nel tempo, però continuano a mangiare all'italiana conservando gelosamente il gusto indiscutibile degli spaghetti.
Da qui si delinea l'importanza del codice alimentare dal punto di vista culturale.
La nostra cucina è un "monumento", esiste ,ha lasciato delle tracce che sono ancora visibili ,ma ha bisogno di un cicerone per non farla perdere. Il cicerone nel nostro caso rappresenta colui che è profondo conoscitore delle origini dei piatti.
Piatti di indiscutibile gusto e raffinata fattura, che si alternano sulle tavole della nostra sempreverde isola con altri di cucina povera e di semplice realizzazione.
La nostra cucina, malgrado la fama dei siciliani non goda lo stesso successo, ha un successo incredibile, non sappiamo ancora perché, è lo stallone d'Italia, ma ad alcune motivazioni possiamo velocemente arrivare:
1) Perché è una cucina che vanta 3000 anni di storia,
2) Possiede circa 4000 piatti;
3) Non c’è un'unica cucina (rustica, barocca, popolare, da strada);
4) Continua a godere degli influssi alimentari dei nostri dominatori e colonizzatori.
La nostra Sicilia, ha avuto nella sua storia ben tredici dominazioni, dai Fenici-Cartaginesi ai Greci, dai Romani ai Babilonesi, dagli Arabi ai Normanni, dagli Svevi agli Angioini, dagli Aragonesi agli Spagnoli, dagli Austriaci ai Borboni; e pur trattandosi di dominazioni venute dall’est e dall’ovest, e perfino dal nord, i Siciliani non si sono fatti mai assimilare da nessuno, accogliendo da esse apporti culturali e linguistici, senza mai perdere i loro tre caratteri distintivi di popolo, costituiti, come già notò Cicerone nel 1° secolo a.C. dall’intelligenza, dalla diffidenza e dall’umorismo.
Dominazione Greca
Dalla Grecia ci rimangono intatti i sapori delle olive bianche e nere, in certe focacce, nella ricotta salata , nel miele dei fiori , naturalmente nei pesci, nell'Omerico agnello alla brace, ma soprattutto nel vino, il grande dono dei primi greci-sicilioti.
La pecora nasce come “agnidduzzu” , poco dopo diverrà “agneddu” per finire la sua vita come “agnidduni”. Il “muntuni” è invece il maschio della pecora che viene esclusivamente allevato per garantire una continuazione di razza.
Il “crastu” altro non è che l’agnello privato della sua virilità e destinato così all’ingrasso veloce in modo da sfruttarne le carni ancora tenere.
L’agnello in Sicilia è presente sia nella cucina popolare che in quella baronale e numerosissime sono le sue preparazioni: al forno, ripieno, alla brace, in tegame, in agrodolce, al sugo, ’abbuttunatu, con le fave verdi o con i piselli , ’aggrassatu’, con le patate ed in tanti altri modi.
Agnello deriva dal latino agnus, cioè casto e innocente: per questo fu sacrificato a Dio.
In Sicilia si mangia durante la Pasqua per rinnovare la tradizione.

Usi e costumi dell'antica Sicilia di Mariano Carbonetti
Un viaggio nella Sicilia di ieri per scoprire l'origine di termini ancora oggi usati nella tradizione culinaria.